



Tutti d'accordo che in questo momento ci sono urgenze come quelle dei terremotati
dell'Aquila e dintorni da sistemare.
Questo fatto non puo' non farmi riflettere sul passato della popolazione dell'irpinia e delle regioni colpite duramente dal sisma del 1980.
Terremoto che vissi personalmente e che hanno lasciato una traccia indelebile nel mio cuore e nei miei pensieri.









Erano le 19.35 del 23 novembre 1980, quando due scosse sismiche a distanza di pochi secondi una dall'altra sconvolsero per un interminabile minuto e venti secondi una vasta area dell'Appennino meridionale, a cavallo tra l'Irpinia e la Basilicata.
Scosse del decimo grado della scala Mercalli che causarono oltre 2.000 morti, 10.000 feriti, 300.000 senza tetto.
Furono cancellate oltre 77mila costruzioni in 686 comuni ed altre 275.000 rimasero gravemente .
Lioni, Laviano, Sant'Angelo dei Lombardi, Conza, Lioni, Teora, Pescopagano... interi paesi scomparvero in pochi istanti.
Paesi dai nomi quasi sconosciuti, fino a ieri; ora scolpiti nella memoria.
Migliaia furono i volontari accorsi da ogni parte d'Italia e del mondo.
Le sovvenzioni per la ricostruzione (60.000 miliardi di vecchie lire se si include anche la zona di Napoli) causarono in seguito altri terremoti, quelli politici per gli scandali per la ricostruzione.

Ma la verità "vera" è che fu proprio Napoli e non l'Irpinia a beneficiare di quasi tutti quei soldi.
"Non vi dimenticheremo" disse ai terremotati il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. In queste zone a distanza di ventinove anni si parla ancora di Terremoto..

Ampliando il quadro di riferimento, le dinamiche che si innescarono in seguito al terremoto condizionarono anche le modalità dell’intervento di assistenza dello Stato nel Mezzogiorno; infatti negli anni Ottanta la Cassa per il Mezzogiorno attraversava una crisi che si sarebbe rivelata irreversibile, e l’”occasione” del terremoto fu sfruttata per perpetuare la straordinarietà dell’assistenza al Mezzogiorno o a parte di esso. La connessione tra politica, imprenditoria e malavita fu alimentata dal cosiddetto “partito unico della spesa pubblica”, che teorizzava un miglioramento delle condizioni di subalternità del Mezzogiorno attraverso il finanziamento di ingenti interventi di industrializzazione e infrastrutturazione. La creazione di 20 nuove aree industriali, ad esempio, pur creando una discreta quantità di posti di lavoro nei primi anni di attività delle aziende, si rivelò nel lungo periodo una scommessa realizzata solo in parte e di certo con un impegno economico spropositato rispetto ai risultati ottenuti; alcuni calcolano che lo Stato ha speso circa 142 milioni di lire per ogni posto di lavoro creato attraverso questo programma di interventi; inoltre su 268 aziende previste, quelle attive nel 2005 erano solo 57. Le cose migliorarono parzialmente negli anni Novanta poiché all’ intervento statale subentrarono le politiche di coesione dell’Unione Europea, che esigevano garanzie maggiori per la progettualità e il finanziamento degli interventi.
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