martedì 25 agosto 2009

Scappatelle sotto il sole d'agosto


In questo sito troverete un devertente test su un sondaggio a proposito di scappatelle estive.
Volete sapere com'è andata a me col test?


Il mio profilo è "UMANO"
ovvero: Riconoscete la natura umana del peccato. Siete forti, ma avete anche voi i vostri lati di debolezza. Siete realistici e concreti, cogliete l’attimo e l’opportunità. Ma rimante equilibrati, cerebrali e ottimi manager della vostra vita sentimentale. Comunque non siete dei Santi e lo sapete bene. Attenzione ai sensi di colpa: non si mai se vi possono rovinare la vita. Non siete Diabolici perché non amate abbastanza il rischio e la tensione. Ma certe occasioni… non ve le lasciate scappare..


Sarà...intanto quest'anno mare non ne ho fatto proprio per cui sono mancate anche eventuali "tentazioni"...eheh




C’è il mondo intero sulla spiaggia e mi passa davanti tutte le mattine a mezzogiorno, gente che va di qua e di là sulla riva del mare, ognuno coi suoi pensieri e le mille cose da fare o da dire, premi nobel del futuro e geni di cui il mondo non si è accorto, ognuno convinto che la sua vita sia speciale.
Trascino la sdraio sul bagnasciuga, e nel tratto in cui loro solcano a piedi nudi lo spazio che mi sta di fronte, ascolto frammenti di quelle conversazioni, in modo che dalle parole rubate possa giocare a ricostruirne l’esistenza.
Ora sta passando la famiglia doc, quella a quattro: lui, lei e i due bambini, rigorosamente un maschio e una femmina, altrimenti la riproduzione dei geni non è armonica, non è equilibrata.
Il piccolo è dispettoso e fugge in avanti inseguendo farfalle inesistenti.
Inciampa e si bagna il costume, tra poco la mamma gli dirà “Hai visto, te l’avevo detto che ti saresti bagnato tutto”, il padre scrollerà le spalle in tacita disapprovazione e la sorella più grande e più saggia s’affretterà a rimarcare la differenza: “Io sono brava, mamma, non sono caduta”.
A giudicare dal pareo della donna, firmato e di seta, e dal cellulare di lui – l’ultimo pubblicizzato proprio ieri in televisione – è gente benestante: al rientro a casa ci sarà la cameriera a servire il pranzo e se non hanno casa al mare, e sono di passaggio, giurerei che andranno a sedersi in un ristorante.
Ora mi attraversa la sdraio una persona anziana: è sola.
Avrà perso la moglie e forse approfitta della passeggiata per rimpiangerla.
Ecco, ora fissa un punto all’orizzonte e la vede da lontano corrergli incontro con un lungo abito bianco, come nelle scene dei film.
“Sei tornata, mia cara”, le sta dicendo col pensiero, ma la donna non c’è e non l’ascolta. Evocarne il ricordo serve solo a soffrire di più, mettere a posto la coscienza per le tante preghiere che il sonno gli ha impedito di destinarle, perdonarsi d’esserle sopravvissuto e assolversi per averla tante volte tradita.
Due giovani, nel frattempo, si sono fermati proprio qui davanti.
Parlano della festa del loro matrimonio e discutono animatamente del servizio fotografico: a chi affidarlo e con quali soldi pagarlo, visti i preventivi così alti.
Già posso immaginare le foto e i filmini, perché qualche volta mi fermo ad osservare le vetrine dei negozi che li espongono: pose inverosimili, effetti speciali stupefacenti, tentativi di trasfigurare la realtà.
Provo ad immedesimarmi nell’«esperto d’immagine» che sceglieranno.
Lei ha i capelli lunghi, biondi. Lui è bassino, piuttosto insignificante.
Il fotografo gli dirà di protendere le braccia con sguardo struggente verso la sposa dai capelli al vento e nel montaggio lo farà camminare al rallentatore sulle acque del mare fino alla ricongiunzione dei corpi.
Pagheranno duemila euro per questa trovata fantascientifica. Che ridere.
Adesso è la volta della signora senza capelli. La vedo spesso a quest’ora, il capo avvolto in un foulard, cammina piano e sospettosa, teme che la gente intuisca la sua malattia e bisbigli commenti pietosi di nascosto.
Accanto a lei c’è il marito, un uomo interessante con i capelli brizzolati e la barba bianca: gli dò sessant’anni o qualcosa di più.
Ha un’aria arrendevole, come se la moglie gli facesse scontare l’ingiustizia del suo cancro con mille capricci, mille pretese, quelle piccole angherie di chi è convinto di essere in credito con la vita, o con la morte, e tormenta chi gli sta intorno. Chissà chi sta peggio in quei giorni, se colui che patisce una malattia o gli addetti al suo dolore, ai suoi sbalzi d’umore, alle sue invettive…
Ma guarda chi passa: la babysitter polacca col bimbo della pediatra. Eppure un luminare della salute dovrebbe sapere che a mezzogiorno i raggi del sole fanno male ai piccoli.
Evidentemente le regole valgono solo per i figli degli altri.
Mi soffermo sulla ragazza: ha i capelli raccolti in lunga treccia castana e indossa un costume da bagno datato 1970: glielo avranno regalato i padroni di casa, riesumato forse dal baule in soffitta, in un gesto di immane generosità.
Spinge il passeggino a fatica, poverina. Basta un ristagno d’acqua che le ruote si impantanano ed è costretta a sollevare di peso il mezzo, con tutto il bambino dentro, per rimetterlo in moto. È sudata, è stanca.
Nel frattempo una piccola onda ha lasciato accanto ai miei piedi un pesciolino morto – chissà se avrà sofferto – e una moltitudine di gabbiani spicca il volo dagli scogli al passaggio rumoroso di un motoscafo.
La coppia che mi attraversa il paesaggio, adesso, è davvero disarmonica.
Lui sembra suo padre, tanto è più vecchio; lei è bellissima, viso incantevole, corpo statuario.
L’avrà sposato per i soldi, questo è certo, e nei suoi spazi d’intimità segreta comparirà sicuramente un bel giovane a soddisfare i bisogni di quell’età incontenibile.
Il ragazzo la bacerà tutta e la sua pelle fremerà di desiderio al tocco delle labbra, poi, la sera, quando non sarà riuscita ad attendere il sonno pesante del marito prima di scivolare nel talamo, il vecchio assaporerà i suoi seni rotondi intrisi della saliva dell’altro.
Tre bambini litigano per un calcio di punizione, se era giusto o assegnato a piacere, e una mamma continua instancabilmente a chiamare il figlio perché esca dall’acqua: “Hai le mani arricciate, vuoi asciugarti sì o no?”.
È l’una, lo spettacolo è finito.
Fantasticando con me stessa è trascorsa un’ora. Nessuno si è accorto di me.
Una volta, quando sfilavo io sulla riva del mare, il tempo si fermava come nei racconti delle favole antiche e tutti, tutti, seguivano con lo sguardo, immobili e stregati, la mia traversata.
Ma ho settant’anni, e al tramonto non ti guarda più nessuno.
(Manuela Petescia)



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